Una rotta libanese per la Rigel

La spy story delle navi a perdere ha una data d’inizio ben precisa, il 13 maggio 1995, quando nella sede del Corpo forestale di Brescia un testimone chiave viene ascoltato dagli ufficiali che da anni seguivano le tracce dei trafficanti dei rifiuti. Sul verbale rimarrà solo il nome in codice, Pinocchio.
Parla a lungo, descrive la rete dei poteri occulti che si concentrano nella città di La Spezia.

Pinocchio – che viene ascoltato garantendogli l’anonimato – chiude la sua deposizione con il nome di una nave partita da Marina di Carrara nel 1987, la Rigel.
Un mercantile diretto in Libano, con una tappa intermedia a Limassol, nell’isola di Cipro, e mai giunto a destinazione: «La nave è affondata a Capo Spartivento, ed era stata caricata con materiale nucleare, altri rifiuti e merce varia », spiega Pinocchio agli uomini della forestale. Un carico micidiale, la cui storia, ancora oggi, è avvolta in una nube di misteri e di silenzi di Stato. Per la giustizia italiana l’affondamento della Rigel – avvenuto secondo le carte ufficiali il 21 settembre del 1987 – fu doloso. Il processo promosso dalla Procura di La Spezia si è concluso nel 2001 fa con la conferma di una parte delle condanne in Cassazione.
Gran parte degli imputati vennero in realtà assolti dalla corte di Appello di La Spezia, dopo aver chiesto il rito abbreviato.
Ma l’ipotesi del naufragio provocato artificialmente rimase in piedi nelle motivazione della sentenza della corte di massima istanza.
L’inchiesta aveva coinvolto un gruppo di una trentina di persone: gli armatori greci, i caricatori, i broker, uno studio legale di Genova e un funzionario della dogana.
Per la magistratura quell’affondamento avrebbe coperto in realtà una truffa alle assicurazioni.
Mai durante le indagini condotte dalla Guardia di Finanza alla fine degli anni ‘80, si era parlato di scorie nucleari trasportate dalla Rigel e affondate insieme ai container. La stranezza del carico – composto da merce di pochissimo valore, fornita da imprenditori in forte difficoltà economica – fu spiegata come un artificio ben congegnato per riuscire ad intascare buona parte del premio assicurativo.
Dopo la deposizione di Pinocchio il caso fu riaperto dal sostituto procuratore presso la Pretura di Reggio Calabria Francesco Neri, che dal marzo 1994 seguiva le indagini sui traffici di rifiuti via mare. L’ipotesi era che all’interno della nave – destinata all’affondamento – fossero stati stipati rifiuti radioattivi. Il capitano di corvetta Natale De Grazia – su delega di Neri – seguì direttamente la vicenda, che servì da spunto per la ricostruzione di una serie di altri affondamenti sospetti. E fin qui la vicenda è abbondantemente nota. Oggi Terra è in grado di rivelare nuove piste, mai seguite finora, basate su documenti inediti.
Partiamo da un dettaglio, fondamentale.
Pinocchio nella sua deposizione ricostruì una rotta della Rigel che, all’epoca, non trovava riscontro nell’inchiesta della Procura di La Spezia: «Tale nave, prima di giungere in Calabria, dove venne affondata volontariamente per riscuotere il premio assicurativo e nel contempo gettare a mare ogni sorta di rifiuti, ha come luogo di provenienza la Grecia; successivamente tocca altri porti in Albania e nel Nord Africa, per poi entrare definitivamente nel mar Ionio, dove viene affondata al largo di Capo Spartivento, su un fondale di circa 400 metri». Un racconto che non combaciava con la ricostruzione della rotta. Secondo l’inchiesta ufficiale, la Rigel prima rimase in rada davanti a Marina di Carrara per alcuni giorni, poi si spostò davanti al porto di Palermo, dove stazionò per circa una settimana e alla fine, superato lo stretto di Messina, affondò al largo di Capo Spartivento.
Nessun riscontro, dunque, vi era su una una sosta in Albania e nel Nord Africa. La fonte Pinocchio mentiva? In realtà no.
Un mese esatto dopo la scomparsa della nave, alcuni investigatori – che chiedono la garanzia dell’anonimato – ricevono una chiamata dal Pireo, la zona degli armatori greci. Li contatta un tale Jannis: «So dov’è la Rigel, si nasconde in Libano». Questa fonte aveva un rapporto diretto con alcune persone salite a bordo della nave, per acquistare una parte del carico. Jannis, per garantire l’affidabilità, elenca il carico del mercantile: «Blocchi di granito, fasce di tubi, sacchi di prodotti plastici». Era senza dubbio parte della merce stivata a Marina di Carrara. Il particolare più importante riguardava i sacchi, perché all’epoca nessuno – salvo i caricatori – sapeva della presenza di decine di big bags con del materiale proveniente da Ferrara. Una sostanza ancora oggi misteriosa: teoricamente si trattava di Abs, ovvero lo scarto della lavorazione della plastica, che poteva essere riutilizzata da fabbriche specializzate.
Impianti che però non esistevano di certo nel Libano della guerra civile.
Dopo una trattativa serrata, gli investigatori decidono di pagare ventimila dollari per avere il nome del porto dove si nascondeva la nave: Ras Selaata, ad una cinquantina di chilometri al nord di Beirut. Un molo privato, vigilato da personale armato e sostanzialmente inaccessibile. Un riparo sicuro, protetto all’epoca delle milizie cristiane di Marada, filo siriane, in un’area tra le più pericolose nel mar Mediterraneo.
«All’epoca nella zona esistevano diversi cantieri clandestini – ci racconta uno degli investigatori – in grado di cambiare l’identità di una nave in pochissimi giorni». Portare quel mercantile in un posto lontano dagli occhi indiscreti, dopo aver simulato l’affondamento, per cambiarne l’identità e rimetterlo, quindi, in circolazione poteva essere l’operazione perfetta, in grado di aumentare notevolmente il guadagno.
E non era difficile far sparire l’eventuale carico pericoloso.
In quegli stessi giorni un’altra nave partita dall’Italia, la Radhost, era sbarcata a Beirut, scaricando migliaia di fusti di rifiuti pericolosi raccolti mesi prima dalla società milanese Jelly Wax.
Coincidenze? In Libano, intanto, diverse agenzie investigative che lavoravano per le assicurazioni si erano messe alla ricerca della nave.
L’attenzione si concentrò su quello scalo indicato dalle fonti del Pireo, il porto di Salaata, «uno di quelli maggiormente utilizzati per i traffici poco puliti». Una zona che, anno dopo, viene citata in un rapporto di Greenpeace, proprio in relazione ai traffici di rifiuti.
Alla fine la Rigel non fu trovata.
Molto probabilmente la voce della “caccia al relitto” che gli investigatori avevano iniziato raggiunse chi era in possesso della nave. Su quello che sia potuto accadere nei mesi successivi c’è ancora un mistero fitto, impenetrabile.
La nave aveva alcune caratteristiche che la rendevano facilmente riconoscibile: un comignolo arancione e l’assenza delle due lance di salvataggio, utilizzate dall’equipaggio per abbandonare il mercantile, dopo la dichiarazione del naufragio. Il capitano della Rigel, il comandante Vassiliadis, ha sempre sostenuto l’ipotesi del naufragio non doloso, anche se la versione fornita nel rapporto dell’incidente risultò improbabile dal punto di vista tecnico. La “criccatura” dello scafo all’altezza delle macchine secondo tecnici che hanno analizzato i piani di costruzione della Rigel era assolutamente improbabile.
La storia dello sbarco nel porto libanese di Ras Salaata conferma quella parte della deposizione di Pinocchio che non tornava.
Questo racconto – che sembra essere molto più di un’ipotesi – non era noto agli ufficiali della Forestale di Brescia che interrogarono la fonte confidenziale il 13 maggio del 1995. Un dettaglio, quello dello sbarco in Libano, che non era mai stato, fino ad oggi, rivelato. Se Pinocchio ha avuto ragione sulla reale rotta che nessuno conosceva, forse diceva la verità sul carico della Rigel. Un carico nucleare sparito tra i porti e i fondali del Mediterraneo.

3 thoughts on “Una rotta libanese per la Rigel

  1. Caro Andrea ho letto alcune felle tue inchieste sulle navi dei veleni molto interessanti, ho pensato quindi di passarti questa notizia che non trova spazio nemmeno nei giornali locali e riguarda i rifiuti delle navi sotterrati in Romagna. Cio che ho filmato e ciò che ho citato mei post è documentalmente tutto in mio possesso. Se ritieni la notizia giornalisticamente idonea sono a tua disposizione. Ciao Giorgio Venturi

    la Storia delle navi e la ex discarica di Savignano sul Rubicone:
    http://lavoceromagnola.blogspot.it/2012/09/una-discarica-e-quasi-per-sempre.html

    il risultato delle analisi:
    http://lavoceromagnola.blogspot.it/2012/09/i-risultati-delle-analisi.html

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